Include l’insieme delle culture delle genti autoctone e forestiere che si sono sviluppate in Sardegna fra il Neolitico e l’Età del Bronzo, per circa 4.000 anni, prima di passare gradualmente alla Civiltà Nuragica, circa 1800 anni AC. Queste culture prenuragiche si sono a volte ampiamente sovrapposte o sono state l’una l’evoluzione dell’altra, ma sovente hanno mantenuto specificità dettate da fattori geografici (certamente influenti per via dell’articolata morfologia del territorio isolano); l’influenza culturale di popolazioni forestiere che con i sardi commerciavano oppure che avevano deciso di insediarsi nell’Isola, ha contribuito all’originale sviluppo socio-culturale della popolazione prenuragica.
Le genti del neolitico antico erano probabilmente già riunite in piccoli gruppi sociali, semi-nomadi e dediti a caccia, pesca e raccolta; i ritrovamenti archeologici di questo periodo riguardano vasellame e cocci, oltre ad utensili litici in selce o calcare e sono stati rinvenuti in cavità della roccia e grotte come la Grotta Verde presso Capo Caccia (Alghero), dove sono stati individuati anche alcuni graffiti.
La società prenuragica da semi-nomade via via evolverà verso una società agro-pastorale suddivisa in clan, con sedentarietà più diffusa; i primi insediamenti sulla costa coincisero con l’instaurarsi di traffici commerciali che divennero sempre più importanti data la posizione strategica della Sardegna, al centro di svariate rotte commerciali con le altre aree del Mediterraneo; parallelamente l’insediamento nelle maggiori pianure dell’Isola, oltre che fornire un ottimo substrato per agricoltura e pastorizia, permetteva un accesso più immediato tanto alla costa, per i traffici commerciali, che alle alture dell’Isola, importanti mete di transumanza.
Al Neolitico medio e finale appartengono importanti evoluzioni sociali, culturali e religiose che continueranno anche nell’età del Rame; per esempio il culto della Dea madre, in comune con altre civiltà del tempo, e il culto dei morti, con la comparsa delle prime Domus de Janas (se ne conoscono più di 2.000 in tutta l’Isola) ovvero strutture funerarie ipogee o scavate nella roccia come quelle del bellissimo Sito archeologico di Puttu Codinu (Villanova Monteleone); numerosi sono i reperti provenienti da varie zone dell’Isola come vasellami di ottima fattura, ben decorati o incisi, alcuni a forma antropomorfa o zoomorfa e vari strumenti litici evoluti, per l’uso quotidiano e la caccia, ricavati lavorando la selce ma sopratutto l’ossidiana del Monte Arci, un materiale vetroso di origine vulcanica adatto a creare lame taglienti, raschiatoi e punte di frecce come largamente testimoniato dai ritrovamenti nel territorio di Pau; alcuni strumenti realizzati con questa ossidiana sono stati rinvenuti anche in alcune località al di fuori della Sardegna, a testimonianza degli esistenti traffici con altre popolazioni.
L’Età sarda del Rame abbraccia più o meno un periodo che va dal 3000 al 2000 AC. L’avvento della metallurgia, sinonimo della padronanza del fuoco, ha permesso il potenziamento e lo sviluppo di strumenti fondamentali nelle tecniche agro-pastorali, nella caccia e nelle attività quotidiane contribuendo al notevole sviluppo sociale delle genti prenuragiche. I villaggi sono abitualmente composti da numerose capanne circolari in pietra e tetto in frasche e tra le costruzioni si aprono spazi per la vita sociale con ampie aree e strutture dedicate alla spiritualità e al culto dei morti; molto significativa in tal senso è la Necropoli ipogeica di Sant’Andrea Priu (Bonorva) continuamente utilizzata nel trascorrere dei millenni fino a che fu ristrutturata come chiesa rupestre e addirittura consacrata nel 1313 DC.
Il megalitismo ha un forte sviluppo nelle architetture sia civili che religiose; per esempio il Complesso prenuragico di Monte Baranta, edificato nel punto meridionale dell’esteso altopiano vulcanico ad est di Olmedo nella Nurra orientale, è caratterizzato da una incredibile muraglia costituita da grossi massi trachitici, lunga un centinaio di metri, alta (attualmente) fra i 2 e i 3 mt e spessa fino a 5 mt oltre che da uno splendido recinto-torre.
Un esempio molto rilevante di architettura in ambito spirituale, attribuito alla Cultura di Filigosa, è l’Altare di Monte D’Accoddi (Sassari), unico nel suo genere nel bacino del Mediterraneo ed in Europa ed architettonicamente simile alle ziggurat mesopotamiche.
Fra il 2000 e il 1600 AC, durante l’Età del Bronzo, la Cultura di Bonnànnaro affianca e poi largamente sostituisce le preesistenti culture locali isolane; come già per la precedente Cultura del Vaso Campaniforme, fu l’influsso di genti provenienti dall’Europa continentale a caratterizzare i mutamenti sociali e culturali di questo periodo. L’archeologo Giovanni Lilliu, attraverso lo studio dei reperti databili a questo lasso di tempo, descrive la Cultura di Bonnannaro come di rottura rispetto a quelle che l’hanno preceduta proponendo un modello di società con maggiore vocazione alla guerra e nella quale il culto degli avi e la miticizzazione del capo soppiantano i pre-esistenti culti spirituali legati sopratutto alla Dea Madre; per esempio le Tombe dei Giganti sostituiscono via via l’utilizzo e la nuova realizzazione di Domus de Janas e sembrano appartenere a questo periodo i primi esempi di nuraghe a corridoio e proto-nuraghe. Queste caratteristiche fanno della Cultura di Bonnannaro, e specialmente della successiva Cultura di Sub-Bonnànnaro, la precorritrice della Civiltà Nuragica.