Cosa rende ancor più speciale la Sardegna, oltre al suo splendido paesaggio sospeso fra mare e terra e alla natura avvolgente di gran parte del suo territorio? Ovviamente la storia, e i lasciti, dell’uomo che l’ha colonizzata, probabilmente quando l’Isola era ancora interessata dal suo ultimo Ciclo vulcanico, conclusosi nel tardo Pleistocene (circa 100.000 anni fa).
Purtroppo, a causa della mancanza di reperti ossei umani datati certamente al Paleolitico, il periodo in cui iniziò la frequentazione della Sardegna da parte dell’uomo è ancora dibattuto; nella grotta di Nurighe (Cheremule) è stato rinvenuto un reperto fossile probabilmente eccezionale se sarà definitivamente accertato essere la falange del dito di un ominide, probabilmente pre-neanderthaliano, risalente a circa 250.000 anni fa.
E’ tuttavia possibile dedurre indirettamente la presenza dell’uomo nel Pleistocene medio-finale, fra 500.000 e 100.000 anni fa, grazie alla datazione di alcuni utensili di selce sbozzata rinvenuti nell’Anglona (Perfugas) mentre, con una certa probabilità, un afflusso di varie genti “continentali” è da attribuire ai periodi di maggior regressione marina, quando il Tirreno settentrionale era uno stretto braccio di mare.
A partire dal Neolitico le popolazioni indissolubilmente legate alla Sardegna (le culture pre-nuragiche e nuragiche) ci hanno lasciato importanti tracce, reperti e insediamenti che ci permettono di confermare la definitiva e diffusa presenza dell’uomo nell’Isola.
Come spesso è accaduto nella storia dell’uomo, le caratteristiche del territorio in cui esso decise di volta in volta di stabilirsi e svilupparsi sono state del tutto fondamentali, e in seguito strategiche, per determinare il tipo di civiltà che avrebbe espresso, influenzandone le caratteristiche socio-culturali, economiche e politiche.
Questo influsso del territorio è stato ancor più incisivo nel determinare l’originalità storico-culturale delle genti sarde pre-romane che colonizzarono il micro-continente sardo e che qui decisero di stabilizzarsi, sottoponendosi inconsciamente ad un isolamento sia interno che esterno, a causa delle specificità rispettivamente geologiche e geografiche della Sardegna.
Aspetti geologici della Sardegna
La Sardegna costituisce con la Corsica una micro placca distaccatasi dal continente sud europeo nel Miocene inferiore (15/20 Ma) quando in seguito ad una roto-traslazione in senso antiorario si collocò definitivamente nell’attuale posizione. La parte sud occidentale dell’Isola (Sulcis e Iglesiente) annovera affioramenti antichissimi risalenti al pre-Cambriano/Cambriano inferiore (550 Ma) che furono molto probabilmente le prime aree emerse della futura Sardegna; questi territori appartengono al ben più vasto insieme di formazioni vulcanico-sedimentarie risalenti ai periodi fra il Cambriano e il Carbonifero inferiore, presenti nella Sardegna sud orientale (Sarrabus, Gerrei), centrale (Arburese, Barbagia, Gennargentu, Ogliastra, Goceano) e nord occidentale (Nurra).
Durante le convulse fasi dell’Orogenesi ercinica, attiva fin dal Carbonifero inferiore, tutti questi territori furono sottoposti a forze compressive di variabile entità che li hanno piegati, impilati e ispessiti fino alla costituzione di un possente e molto variegato basamento metamorfico; questo, durante le fasi finali del Ciclo ercinico nel Carbonifero superiore-Permiano, fu estesamente intruso dall’enorme batolite granitico che affiora oggi massicciamente nelle parti centro e nord orientali (Gallura, Baronie, Mandrolisai, Barbagia, Ogliastra), in quasi tutto il Sarrabus, in parte del Sulcis, in limitate aree di Iglesiente e Arburese e in altre piccole enclave molto distanti dal complesso principale come parte dell’Asinara e la piccolissima Isola Mal di Ventre al largo del Sinis; inoltre, un diffuso e ben strutturato corteo filoniano intrude sia il basamento metamorfico che il batolite.
L’unione di queste formazioni paleozoiche va a costituire il basamento metamorfico-cristallino della Sardegna mentre la restante parte del territorio sardo è occupato dalle sovrastrutture mesozoiche e cenozoiche, di origine principalmente sedimentaria la prima e vulcanico-sedimentaria la seconda.
L’importante attività tettonica trascorrente terziaria e quaternaria, di carattere sia transpressivo che transtensivo, ha influito in maniera determinante sulla morfologia del paesaggio fino ai giorni nostri, modellandolo in modo molto articolato e caratteristico a seconda delle aree e delle locali litologie.
La storia geologica della Sardegna è trattata più dettaglio nella sezione raggiungibile dal menu principale o da qui.
L’influenza della morfologia del territorio
All’epoca delle prime genti, la Sardegna aveva oramai acquisito quella morfologia complessa che si rispecchia in un territorio fortemente parcellizzato a causa innanzitutto della peculiare disposizione dei suoi elementi naturali più prominenti (i grandi massicci montuosi del Gennargentu, Limbara, Marghine-Goceano, Monteacuto, Montiferro, Monte Linas, Montalbo, Supramontes, Sette Fratelli) che, sebbene mediamente di non spiccata altezza, sono molto estesi e dai versanti aspri, scoscesi se non precipiti, fortemente incisi da gole inaccessibili, veri e propri confini naturali; fra essi si dispongono piane e depressioni tettoniche (la fossa del Campidano, le piane di Chilivani-Berchidda, del Cixerri, le valli di Lanaitho e Oddoene, etc..) ed altopiani più o meno ampi di origine vulcanica o sedimentaria, caratterizzati da versanti molto acclivi e isolati da strette e ripide valli disposte lungo linee di faglia (Campeda, Salto di Quirra, Tacchi della Barbagia e Ogliastra, etc.); nei pressi della costa si individuano invece limitate pianure alluvionali (in corrispondenza degli estuari dei maggiori fiumi come il Tirso, il Flumendosa, il Coghinas) e un gran numero di aree umide ricche di stagni, anche di grandi dimensioni.
Queste caratteristiche hanno probabilmente influito sul fatto che le genti tesero a riunirsi in cantoni, micro-stati, “isole” disperse all’interno della più grande Isola, riconoscendosi in sistemi ristretti di gruppo famigliare, clan o villaggio, entro i confini naturali specifici di uno o dell’altro territorio.
L’insularità.
Un altro aspetto fondamentale e fortemente significativo per la sua influenza nello sviluppo delle culture sarde è l’insularità. Nonostante la Sardegna sia la seconda Isola per estensione del Mediterraneo e goda di una posizione strategica e centrale lungo l’importante direttrice di comunicazione marittima fra Mediterraneo orientale e occidentale, è anche quella più distante dalle coste continentali; inoltre, nonostante le coste sarde siano lunghe poco meno di 2.000 km, esse per 2/3 sono caratterizzate da aspre, e spesso alte, scogliere ed inoltre sono anche poco articolate, così che gli approdi stabili siano in realtà molto scarsi nell’Isola. Se da un lato la posizione geografica ha agevolato i commerci mercantili (nelle località costiere più idonee) e l’arrivo in Sardegna di popolazioni che si sarebbero fuse con le preesistenti genti sarde arricchendone gli aspetti culturali e sociali, dall’altro la morfologia costiera e la distanza dalle terre continentali ha probabilmente collocato, e condizionato, i sardi “in posizione marginale riguardo ai grandi eventi storici di carattere generale euroasiatico di cui non sentirono che riflessi, ponendosi per lo più in una situazione di cultura subalterna e a un livello di storia minore” (G. Lilliu, “La Civiltà dei Sardi”).
La civiltà pastorale.
La Sardegna è quindi un territorio molto articolato, naturalmente frazionato, con una costa per lunghi tratti poco accessibile e quindi incompatibile (se non nei tratti costieri più bassi) con attività di pesca e di commercio via nave; questi fattori hanno indotto già dall’antichità le popolazioni a privilegiare le attività compatibili con quelle che invece erano le prerogative del territorio e la diffusa abbondanza di pascoli naturali portò a concentrarsi sulla pastorizia.
Per millenni quindi si sviluppò una civiltà pastorale nella quale si rifletterono, oltre l’isolamento naturale interno (morfologia del territorio) ed esterno (l’insularità), le prerogative umane proprie dell’attività di pastore che, a maggior ragione nell’antichità, non era certamente un mestiere facile; il molto tempo passato in solitaria in un territorio aspro, in special modo durante le lunghe transumanze quando vennero colonizzati i territori più inaccessibili dell’Isola, non poteva che riflettersi in animi fieri, solitari, talvolta bellicosi.
Le sopracitate considerazioni possono essere una logica spiegazione di quella che parrebbe l’assenza di velleità di sviluppo parallelo di una vera civiltà urbana e il consolidarsi di una nazione definitivamente organizzata internamente e che si relazionasse in maniera unitaria verso l’esterno.