Questa escursione è certamente una fra le più suggestive dell’Algherese sia per spettacolarità, svolgendosi per metà sulle creste delle falesie di Capo Caccia, che per contesto naturalistico, tipico della macchia mediterranea legata al substrato calcareo costiero.
L’anello
L’itinerario proposto si sviluppa in senso orario su un tracciato ad anello suddiviso in tre parti:
Parte 1) salita dal belvedere di Capo Caccia a Torre della Pegna
Parte 2) discesa da Torre della Pegna a Pischina Salida
Parte 3) da Pischina Salida al belvedere di Capo Caccia seguendo la provinciale (non descritto)
Punto di partenza/ritorno: belvedere di Capo Caccia
Lunghezza: 6,3 km
Dislivello complessivo: +314 mt
Segnaletica: vernice blu e ometti nella parte 1; ceppi bianco-rossi e ometti nella parte 2
Difficoltà: E (escursionisti) nella parte 1 e 2; T (turistico) nella parte 3.
Si vedano anche eventuali osservazioni date in seguito per punti specifici.
L’anello è percorribile anche in senso inverso, con punto di partenza a Pischina Salida/Tramariglio, e l’inversione dei tratti in pendenza 1 e 2 rende piacevolmente diversi i due sensi di percorrenza.
Fare riferimento alla mappa qui sotto, mentre qui potete scaricare la traccia GPS (link a Wikiloc).
Parte 1 (E) dai pressi del belvedere di Capo Caccia a Torre della Pegna
Il tracciato verso la Torre ci porterà a coprire un dislivello in salita di oltre 200 mt in 3 km, al netto dei saliscendi incontrati lungo il percorso; l’impegno in questa prima parte è legato soggettivamente al dislivello in salita e oggettivamente al fatto che, nonostante l’assenza di punti esposti, ci si può avvicinare (volontariamente) proprio sul ciglio delle falesie, cosa che necessità di grande attenzione.
Una volta parcheggiato presso il belvedere, scendiamo la stradina asfaltata (direzione N) fino alla curva verso destra, all’altezza della quale ha inizio l’itinerario; il sentiero sarà quasi sempre evidente, anzi sovente vi sono numerosi camminamenti nella stessa area che permettono una certa libertà nell’interpretazione del percorso; segni di vernice blu su svariate rocce, oltre a ometti in pietra, suggeriscono la via classica ma la direzione è sempre chiara a maggior ragione sapendo che non ci scosteremo mai molto dal ciglio delle falesie.
L’ambiente naturale che attraversiamo è una costante del promontorio di Capo Caccia; il Ginepro fenicio (Juniperus phoenicea) fa da padrone nella copertura arbustiva insieme a Lentisco (Pistacia lentiscus), Palma nana (Chamaerops humilis), Rosmarino, Cisto, Euphorbia, Asparago selvatico (Asparagus acutifolius) e numerose altre.
La tipologia di substrato (la caratteristica terra rossa o il calcare), l’esposizione più o meno diretta al forte vento, l’acclività del terreno (falesie, terrazzamenti, depressioni..) e la sua esposizione rispetto al sole creano associazioni diverse così come dimensioni diverse delle medesime specie.
La prima meta del percorso è Cala Inferno, raggiunta in pochi minuti; questa profonda insenatura, un vero gioiello, è ricavata in un anfiteatro calcareo di estrema bellezza che la cinge con pareti verticali; i detriti di frane ed erosione accumulatisi nello specchio d’acqua antistante rendono il colore del mare di un turchese brillante che sfuma nel blu del mare aperto. In un’unica visuale, l’insieme dei verdi brillanti della macchia, il bianco dei calcari delle scogliere e gli azzurri dell’acqua sono un vero spettacolo!
Piccola digressione geologica: la particolare morfologia di Cala Inferno offre, tra le altre cose, uno spaccato delle particolari caratteristiche geologiche dell’area, legate ai lunghi cicli di trasgressione marina, intervallati da momentanei ritiri delle acque, avvenuti fra il Giurassico medio e la fine del Cretacico su vaste aree della Sardegna. Nel Mesozoico l’Isola era ancora attigua all’area pirenaico-provenzale e faceva parte del margine passivo sud europeo durante la fase distensiva connessa con l’apertura dell’Oceano ligure-piemontese (Tetide alpina), in seguito allo smembramento del mega continente Pangea.
L’esteso promontorio di Capo Caccia (così come i Supramontes montani e marini e i Tacchi della Sardegna centro orientale) è quindi formato dalla successione di depositi calcareo-dolomitici di piattaforma intervallati da depositi delle facies transizionali-continentali relativi ai periodi di regressione del mare. E’ impressionante e spettacolare constatare che le centinaia di metri di depositi carbonatici, oggi intensamente carsicizzati ed erosi in forme spettacolari, siano di origine biogenica. Sul fondo di questo mare epicontinentale in milioni di anni si sono accumulati gusci, scheletri e parti dure di organismi morti mentre altri contribuivano a creare strutture con la loro attività costruttiva ed altri ancora inducevano la precipitazione del carbonato di calcio, disciolto nell’acqua marina, sul fondale;
Man mano che procedevano accumulo e seppellimento, i materiali sottostanti venivano compressi perdendo gran parte dell’acqua interstiziale, fino a diventare una roccia compatta, quella che di base osserviamo attualmente anche se dislocata tettonicamente a ben altre altezze rispetto al livello del mare!
Alle spalle di Cala Inferno, qualche decina di metri sopra di noi, è ben visibile una cornice rocciosa dal vago andamento semicircolare il cui punto più elevato è noto come Punta Malrepos; una deviazione (vedi mappa per dettaglio) la raggiunge in breve dandoci ulteriori punti di vista molto suggestivi tanto sulla Cala quanto su Porto Conte. Il nostro percorso prosegue verso la Torre compiendo una sorta di semicerchio in leggera salita attorno alla Cala, permettendoci di ammirarla da diverse angolature nel meraviglioso contesto allargato di Capo Caccia; prendiamo quota fino a 130 mt. circa giungendo nei pressi del ciglio della falesia da cui godiamo un’altro panorama spettacolare sulle rupi che precipitano in un mare blu intenso.
Da qui in avanti seguiamo fedelmente il bordo della falesia per circa 1.800 mt, ne ammiriamo l’imponenza e la mutevolezza, dalle pareti a strapiombo si passa a salti più complessi, con terrazzamenti, gole, guglie in una gara di spettacolarità che non ha fine.
Alle nostre spalle, verso sud, la vista si fa sempre più ampia su Porto Conte, Punta Giglio, la rada di Alghero, la costa di Villanova fino a Capo Marrargiu e, in condizioni ottimali, è possibile perfino vedere il Sinis, l’Isola di Mal di Ventre e le montagne dell’Iglesiente a più di 120 km di distanza!
Dopo aver percorso 3 km scarsi (eventuale deviazione a P.ta Malrepos esclusa) siamo nei pressi della Torre ma ancora non la vediamo perchè, lasciato momentaneamente il bordo della falesia, la macchia si è fatta più alta e dobbiamo salire con decisione un’ultimo, breve tratto su terreno composto da lastre e blocchi di calcare fra e sui quali ci muoviamo, anche con cautela, fino all’agognata meta.
Come prima cosa in effetti non scorgiamo la Torre, ma una piccola costruzione a forma ogivale utilizzata come vedetta nella II GM, accessibile all’interno nel quale sono ricavate due finestrelle d’osservazione; Torre della Pegna le sta pochi metri a fianco e ci si presenta in maniera davvero spettacolare così pericolosamente eretta sul ciglio della falesia e su un baratro di 270 mt! La quota alla quale è stata eretta ne fa la seconda più alta in Sardegna dopo Torre Badde Jana (Villanova Monteleone).
Torre della Pegna è una delle 100 e più torri costiere di avvistamento, difesa e comunicazione che furono erette o ammodernate dalla Corona spagnola per contrastare le incursioni piratesche che affliggevano le coste del Mediterraneo. Nella fattispecie è della tipologia “torrezillas”, ovvero torre di dimensioni minori con funzioni esclusivamente di osservazione e comunicazione, presidiata da due soldati con fucili o addirittura non armati, anche perchè è ovvio quanto poco potessero combattere da quest’altezza!
La Torre, priva di accesso all’interno, è costituita da blocchi calcarei locali, di dimensione simile e cementati fra loro, e risulta esteriormente abbastanza in ordine grazie ai recenti lavori di consolidamento.
La visuale intorno, ampia e spettacolare in tutte le direzioni, ci da modo di osservare in particolare il tratto di costa e l’entroterra verso nord, che fino ad ora era celato. Poco staccata dalla costa vediamo l’Isola Piana (zona interdetta di fascia A dell’Area Marina Protetta di Capo Caccia e Isola Piana, luogo di nidificazione di migliaia di uccelli) a sua volta antistante Cala della Barca mentre il successivo lungo tratto di falesie dalla caratteristica conformazione a rampa culmina con Punta Cristallo (326 mt slm, l’altura più elevata di Capo Caccia)
Fra le scogliere e Monte Timidone (l’altura sulla destra, 361 mt slm) si sviluppa il parco demaniale delle Prigionette, con i suoi rimboschimenti, mentre in ultimo, sullo sfondo, intravediamo una piccola porzione della Baia di Porto Ferro e le due cime più alte della Nurra: Monte Forte (464 mt. slm.) e Punta Lu Caparoni (445 mt. slm).
Parte 2 (E) da Torre della Pegna a Pischina Salida
Ci aspetta ora le seconda parte del percorso che alle spalle della Torre scende in direzione E, verso Tramariglio/Pischina Salida (c’è indicazione con cartello per l’attacco del percorso). Mancherà la spettacolarità dei panorami della Parte 1, nonostante le belle vedute sulla baia di Porto Conte, ma verrà compensata con la divertente tecnicità necessaria per la percorrenza del primo tratto che ci farà perdere 160/170 metri di quota in soli 500 metri di tragitto.
In questo primo tratto transiteremo interamente su rocce calcaree variamente fratturate, talvolta disposte in blocchi inclinati e gradoni, con evidenti segni di carsismo quali campi carreggiati e scannellature; questo tipo di superficie necessita innanzitutto di buone scarpe da trekking (il calcare può essere molto spigoloso, serve inoltre un appoggio fermo) e di grande cura nel ricercare il modo migliore di spostarsi senza inciampare o perdere l’equilibrio, a volte saltellando, a volte abbassandosi e aiutandosi eventualmente con le mani; non parliamo di nulla di pericoloso, non ci sono punti esposti o crepacci profondi, ma la pendenza spesso è notevole anche se per brevi tratti.
Il tragitto lungo questa sorta di scivolo calcareo è segnalato da piccoli ceppi con bordo bianco-rosso, i quali individuano la direzione dove dobbiamo dirigerci, mentre come arrivarci rimane sempre una nostra scelta; a differenza del tragitto lungo le falesie, la vegetazione è nettamente più rigogliosa e sviluppata in altezza e ci cinge da entrambe i lati così che la nostra strada calcarea sembra circoscritta dalla selva; in realtà non è proprio così perchè talvolta nell’adattarci al percorso attraversiamo parzialmente la vegetazione e potremmo scoprire dopo qualche metro che il percorso non è adatto e dobbiamo tornare sui nostri passi, quindi un po’ di orientamento è necessario così come sarebbe d’aiuto avere visionato in precedenza una traccia GPS del percorso (qui la mia su Wikiloc).
Dopo circa 500 mt dall’inizio della discesa passiamo dal nudo calcare al terreno, anche se ancora accidentato per la presenza di blocchi e sporgenze; puntiamo con decisione verso sud est per poche decine di metri fino ad incontrare una rete che seguiamo in discesa lungo un passaggio abbastanza ampio, anch’esso parecchio accidentato, circondati da un bosco di ginepri particolarmente folto.
Dopo circa 300 mt incontriamo un cancello verde lungo il reticolato; se proseguissimo dritti, ancora lungo la rete, giungeremmo a Tramariglio mentre noi attraversiamo un varco alla sinistra del cancello ed imbocchiamo la pista di terra rossa che attraverso il bosco di ginepri ci condurrà a Pischina Salida in poco più di un chilometro (visionare la mappa, dopo 400 mt occorre deviare a sinistra per l’ultimo tratto di sentiero).
Il sentiero termina sulla provinciale e ci attende ora la parte meno entusiasmante del percorso ad anello che da Pischina Salida ritorna al belvedere di Capo Caccia in circa 1.300 mt.
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