Dopo i lunghi cicli trasgressivo-regressivi mesozoici che hanno tenuto banco per oltre 100 Ma, alla fine del Cretacico si osserva una generalizzata emersione dei territori isolani (Fase laramica); inizia quindi l’Era cenozoica che dopo oltre 65 Ma giunge ai giorni nostri.
Il quadro geodinamico nell’area del Mediterraneo occidentale è generalmente caratterizzato dai movimenti relativi fra le placche africana ed europea e la Sardegna si trova nel mezzo di questi importanti eventi tettonici. Inizialmente e fino al Burdigaliano inferiore (Miocene inferiore) predominano importanti eventi tettonici compressivi legati all’orogenesi pirenaica e appenninica mentre dal Burdigaliano superiore si ha un repentino cambio nella tettonica che diventa di tipo estensivo con le aperture dei bacini di retro-arco con creazione di nuova crosta oceanica prima ad ovest, bacino Liguro-Provenzale, e poi ad est, Tirreno centro-meridionale. E’ in quest’ultimo contesto che nel Burdigaliano (20 – 16 Ma) si attua la deriva e rotazione antioraria del blocco sardo-corso dal margine sud europeo, con il quale ha condiviso la storia geologica fin dai tempi della Pangea, fino alla posizione attuale.
La generalizzata emersione dell’Isola perdura fino al Paleocene superiore quando subentrerà la fase trasgressivo-regressiva eocenica i cui depositi, da alluvionali e deltaico-costieri, affiorano oggi sporadicamente lungo una fascia che va dal Sulcis-Iglesiente al Campidano sud-orientale, al Gerrei e al Salto di Quirra mentre limitatissimi affioramenti si rinvengono presso il Monte Tuttavista (Baronie, NE Sardegna); muovendosi verso est le successioni rispecchiano ambienti marini via via più profondi.
Al Monte Cardiga (Salto di Quirra) è esposta le sezione eocenica più completa e potente fino a 280 mt: la Formazione di Monte Cardiga; questa successione trasgressivo-regressiva, poggiante in leggera discordanza angolare sul basamento o sui termini pre-eocenici, è così rappresentata:
– alla base un’alternanza irregolare di arenarie a cemento carbonatico ben stratificate, con conglomerati ben elaborati e classati derivanti dal basamento paleozoico; rispecchia un ambiente deltizio e costiero con forti apporti terrigeni
– verso l’alto si sviluppa un’alternanza di banchi da metrici a decametrici di calcari, calcari arenacei o conglomeratici fino a calcareniti e calcari argillosi e marnosi bioclastici con sottili intercalazioni di marne; si rinviene una ricca associazione fossilifera a macroforaminiferi, resti di bivalve, gasteropodi, cefalopodi e coralli; si riferisce al periodo di maggiore trasgressione marina
– la parte superiore della successione, affiorante solo sulla sommità del Monte Cardiga, è composta da arenarie feldspatiche grossolane in spessi banchi a stratificazione incrociata e conglomerati poligenici a ciottoli di rocce del basamento paleozoico, rispecchianti la facies regressiva del ciclo eocenico e la successiva generale emersione dal Luteziano (Eocene medio).
Questo lungo lasso di tempo (circa 25 Ma) vede la Sardegna caratterizzata da diffusa continentalità in un contesto di grande instabilità tettonica; questa è attribuita alla deformazione del retro-paese sardo-corso durante la collisione continentale nord-appenninica (subduzione della placca apula al di sotto del margine sud europeo) e, per quanto riguarda la parte SW dell’Isola, alla Fase Pirenaica; faglie trascorrenti sinistre NE/SW (predominanti nella Sardegna centro-settentrionale) e raccorciamenti lungo direzioni meridiane si sviluppano in quella che è la più importante fase compressiva dopo quella ercinica, oramai più di 250 Ma prima.
A questa fase tettonica trascorrente sono associati:
– ringiovanimento del rilievo con contestuali potenti depositi clastici sin-tettonici di conoide, fluvio-lacustri, lagunari-litorali fino a localmente marini nel Miocene basale
– Ciclo vulcanico calcalcalino oligo-miocenico con fenomeni effusivi anche esplosivi, lave da basaltico-andesitiche a riolitiche
– strutture sin-tettoniche transpressive, anche con sovrascorrimenti del basamento paleozoico sulle strutture post-erciniche (p. es. Supramonte, Montalbo), e transtensive, con bacini di pull-apart (p. es. Chilivani-Berchidda, Ottana) nei quali si raccolgono sedimenti continentali di ambiente fluvio-lacustre oltre che prodotti legati al Ciclo vulcanico calcalcalino.
Nell’Oligocene superiore-Aquitaniano (Miocene inferiore) una nuova trasgressione interessa localmente aree della Sardegna meridionale e settentrionale, mentre solo nel Burdigaliano superiore si osserverà una nuova trasgressione diffusa anche alle aree interne e in generale ben documentata.
Ciclo vulcanico calcalcalino oligo-miocenico
E’ correlato geodinamicamente alla subduzione, iniziata nell’Eocene superiore, della placca Adria al di sotto del margine sud-europeo, con l’impostazione di un arco vulcanico con orientazione circa N-S e interessante tutta la parte centro-occidentale dell’Isola; per la grande estensione degli affioramenti, la varietà e la potenza delle successioni (centinaia di metri), esso ha rappresentato uno degli eventi terziari più importanti del Mediterraneo occidentale.
Il Ciclo vulcanico oligo-miocenico è caratterizzato da un’associazione di prodotti con affinità calcalcalina e tholeiitica e nelle fasi finali calcalcalina alta in potassio fino a shoshonitica; la genesi dei magmi deriverebbe da fusione parziale di rocce mantelliche lungo la zona di subduzione oceanica e l’evoluzione dei termini sia andesitici che più differenziati sarebbe avvenuta a debole pressione (profondità di 15-20 km) con possibile contaminazione crostale; per i termini più evoluti riodacititi-riolitici è probabile un’anatessi di rocce metamorfiche e granitoidi nella crosta continentale, dovuta a precedenti e prolungate risalite di magma basico di derivazione mantellica.
Si distinguono diversi complessi vulcanici determinati da sequenze con una grande varietà composizionale e da diverse modalità di emissione; nelle successioni, che includono locali intercalazioni di depositi fluvio-lacustri e marini, si possono riconoscere:
– Serie andesitica, da basaltico-andesitica a dacitica, in colate laviche, duomi e cupole di ristagno.
– Serie ignimbritica, da dacitica a riolitica, principalmente in espandimenti ignimbritici: flussi piroclatici pomiceo-cineretici saldati e non saldati, surge e fall, brecce vulcaniche.
– Sistemi filoniani che localmente attraversano le predette serie.
Affioramenti molto estesi, insieme a copertura di estensione più locale, caratterizzano: Nurra, Anglona, Logudoro, Meilogu, Planargia (spettacolari enormi bolle di tufi saldati sulla costa fra Villanova Monteleone e Bosa), Marghine (Punta Palai), Goceano, Barigadu, Marmilla (basalti a pillow di Masullas), Trexenta (tra Furtei e Monastir), Arburese (Monte Arcuentu, con le caratteristiche creste frastagliate del complesso filoniano ed in attività per quasi 10 Ma), Valle del Cixerri (all’incrocio tra le faglie del Campidano e del Cixerri emergono cupole di ristagno, o neck, a composizione andesitico-dacitica come il monte di Castello di Acquafredda o il Monte Gioiosa Guardia), Sulcis (Portoscuso e Carbonia, le Isole sulcitane di Sant’Antioco, San Pietro, La Vacca, Il Vitello e il Toro, dintorni di Pula e Sarroch).
Depositi continentali e marini post Eocene medio-Miocene inferiore: 1° Ciclo sedimentario
Gli estesi affioramenti dell’Isola appartenenti al 1° Ciclo sedimentario, in maggior parte clastici continentali e subordinatamente lacustri, marini (dall’Oligocene finale) ed eventualmente intercalati a prodotti vulcanici oligo-miocenici, sono condivisi da altre regioni sud-europee come Camargue e Baleari.
Principali Formazioni e composizione dei depositi continentali del 1° Ciclo sedimentario:
Questo ciclo sedimentario termina nel Burdigaliano (secondo piano del Miocene inferiore) quando viene ricoperto in discordanza dai sedimenti del 2° ciclo sedimentario.
Depositi continentali e marini del Miocene (Burdigaliano-Serravalliano): 2° Ciclo sedimentario
Nella fase geodinamica che vede l’apertura dei bacini balearico e tirrenico e la roto-traslazione antioraria del Blocco sardo-corso nel Burdigaliano (Miocene inferiore, tra 20 e 16 Ma), si sviluppa una fase distensiva con l’impostazione di fosse tettoniche di andamento circa meridiano fra il Golfo dell’Asinara e il Golfo di Cagliari (area già sede, come appena visto, del Ciclo vulcanico oligo-miocenico), con estesa trasgressione marina e conseguente intensa sedimentazione: il 2° Ciclo sedimentario miocenico; questo ciclo sedimentario si protrae fino alla regressione del Miocene medio (Serravalliano inferiore) e affiora estesamente, in discordanza sui substrati sottostanti, in Anglona, Sassarese, Logudoro, Marmilla, Sarcidano e nel Cagliaritano.
La successione inizia con conglomerati ed arenarie di ambiente continentale (alluvionale e fluvio-deltizio) fino a transizionale; nella Sardegna settentrionale questi depositi mostrano spessore maggiore rispetto al sud e si trovano all’intersezione fra le fosse del Burdigaliano superiore (circa NNW-SSE) e le fosse del 1° Ciclo sedimentario (circa NE-SW), con quest’ultime che diventano tributarie delle prime che sono maggiormente depresse; questa correlazione è confermata dalla presenza di ambienti prossimali a NE che via via degradano a litorali e marini verso SW. Nell’area centro-meridionale affiorano depositi sabbiosi e conglomeratici riferiti ad ambiente di barra tidale o fluvio-deltizi, derivanti dal basamento paleozoico e in minor parte delle vulcaniti terziarie; depositi simili, riferiti a delta costiero, sono rinvenuti limitatamente nei dintorni di Orosei. Successioni di marne, arenarie, calcareniti e siltiti di ambiente marino succedono ai precedenti depositi continentali-transizionali.
Nella Sardegna centro-meridionale questi depositi marini marnoso-arenacei sono noti come Marne di Gesturi e affiorano estesamente con potenze di centinaia di metri, intervallati localmente da minori spessori di calcari e calcareniti; in base alle associazioni fossili, alla successione marnoso-arenacea corrispondono ambienti epibatiali-batiali (maggiori di 200 metri di profondità) mentre a quella calcarea ambienti neritici (minori di 200 metri di profondità); nella Sardegna meridionale, in special modo nel Cagliaritano, al di sopra delle Marne di Gesturi la successione continua con marne argillose, note come Argille di Fangario, che evolvono verso l’alto in marne arenacee e quindi arenarie marnose testimoniando, anche in base ai fossili rinvenuti, ambienti che passano da batiali per l’inizio della successione a profondità via via minori verso gli strati superiori.
Nella Sardegna centro-settentrionale i depositi marini, affioranti estesamente nel Sassarese e nel Logudoro, rispecchiano un ambiente lagunare e litorale e si instaurano al di sopra della successione continentale di conglomerati e arenarie o delle rocce vulcaniche oligo-mioceniche e sono composti da arenarie e calciruditi con fossili di molluschi bivalvi (ostrea), conglomerati ad ostree con cemento carbonatico manganisifero, unitamente ad elementi del basamento paleozoico o delle sopracitate rocce vulcaniche; in condizione di mare protetto e poco profondo si ha lo sviluppo di una piattaforma carbonatica con depositi che possono arrivare a decine di metri di spessore (Scala di Giocca, Sassari), costituiti da calcari bioermali, calcari marnosi o arenacei, calcareniti e biocalcareniti, ricchi di fossili; lateralmente e superiormente ai calcari di piattaforma affiorano diffusamente depositi marnosi e marnoso-arenacei, testimoni di condizione di mare più profondo.
Nella Sardegna meridionale le Argille di Fangario evolvono, con contatto netto, nelle Arenarie di Pirri (ben esposte nel cagliaritano); è una successione spessa fino a 200 metri, di ambiente litorale e localmente fluvio-deltizio, composta da banchi arenacei ben cementati alternati a sabbie quasi incoerenti e lenti di conglomerati a clasti di rocce paleozoiche. A questa successione, nella Sardegna centro-settentrionale (Capo Frasca, Monte Santo, Monte Pelao, Florinas) corrispondono potenti depositi di sabbie quarzoso-feldspatiche, talora microconglomeratiche o ghiaiose, di ambiente fluvio-lacustre, talvolta con influenza preponderante e continua di materiali detritici provenienti dai bacini laterali del 1° Ciclo sedimentario (Chilivani-Berchidda).
Successione marina e depositi continentali del Miocene superiore (Tortoniano-Messiniano): 3° ciclo sedimentario
La tettonica distensiva in cui si pone il 3° Ciclo sedimentario del Miocene finale si inserisce nel quadro geodinamico legato sopratutto all’apertura del Tirreno meridionale e conseguente migrazione dell’Arco calabro; le condizioni deposizionali marine del Tortoniano evolvono a sempre più regressive nel Messiniano, durante la Crisi di salinità del Mediterraneo.
Nella Sardegna settentrionale (Monte Pelao, Monte Santo, Florinas-Ittiri), marne e calcari di piattaforma del Tortoniano rispecchiano un ambiente di mare basso ad alta energia con fenomeni di slumping (crolli) ai limiti della piattaforma. Nel Sinis, a Capo San Marco, la successione parte con marne siltitico-arenacee del Tortoniano, corrispondenti ad un ambiente di acque profonde intorno ai 150-200 mt, ed evolve con i sedimenti calcarei del Messiniano che rispecchiano un ambiente da sub-litorale a lagunare-palustre fino a evaporitico. Nelle colline del Cagliaritano, al di sopra delle Arenarie di Pirri, affiorano i Calcari di Cagliari, una successione carbonatica ricca di fossili databili fino al Messiniano, il cui ambiente deposizionale evolve da fondali marini a 80-60 metri di profondità ad ambienti ad alta energia prossimi al litorale; la successione parte dal basso con calcari marnosi mal stratificati (Pietra Cantone) che passano dopo una discontinuità erosiva (emersione) a biocalcareniti talvolta marnose (Tramezzario) le quali dopo una seconda fase erosiva evolvono in calcari bioermali, tavolta massivi (Pietra Forte o Calcare di Bonaria); a Capo Sant’Elia (Cagliari) affiora buona parte della successione dei Calcari di Cagliari con potenza complessiva superiore ai 100 metri.
Affioramenti continentali del tardo Miocene, principalmente conglomerati di ambiente alluvionale e fluvio-lacustre, si rinvengono nelle aree settentrionali dell’Isola che non sono state interessate dalla trasgressione marina (Nurra e fra Oschiri e Berchidda).
Ciclo vulcanico del Pliocene-Pleistocene
L’ultimo ciclo vulcanico della Sardegna, correlato al regime distensivo conseguente all’apertura del Tirreno meridionale, iniziò alla fine del Miocene superiore (6,6 – 6,4 Ma) a Capo Ferrato (Muravera, Sarrabus) per poi espandersi in maniera eterogenea nel resto dell’Isola con l’esclusione del NE e del SW; gli ultimi episodi risalgono a circa 100.000 anni fa, nel Logudoro, sotto gli occhi dei primi ominidi isolani.
Il Ciclo vulcanico plio-pleistocenico è un vulcanismo intraplacca caratterizzato da un ampio spettro composizionale dominato per abbondanza da magmi basaltici ad affinità alcalina e tholeiitica mentre i dati geochimici e isotopici suggeriscono processi di frazionamento a partire da una sorgente mantellica eterogenea a scala regionale. I caratteri giaciturali riflettono un’attività prevalentemente fessurale, legata a direttrici tettoniche sub-meridiane e NW-SE, con colate da modeste dimensioni (Logudoro, Dorgali, Monte Ferru) a plateaux basaltici di discreta dimensione (Campeda, Abbasanta, Orosei, Giare) e due esempi, molto studiati, di apparati vulcanici complessi, con lave più differenziate, ovvero il Monte Arci e il Montiferru.
Il Complesso vulcanico del Montiferru (quota massima Monte Urtigu, 1.050 mt) ha forma allungata in direzione N-S con estensione di circa 10 km per una larghezza di 4/6 chilometri ed è posto tra la faglia dell’Alto Campidano (N-S) e del Marghine (NE-SW); nel periodo di attività, fra 3,9 Ma e 1,6 Ma, sono stati riconosciuti stratigraficamente i prodotti di quattro unità effusive diverse per chimismo ed età:
1 – lave basanitiche ad analcime caratterizzate dalla presenza di noduli xenolitici ultramafici e gabbrici
2 – potenti colate e duomi a composizione trachitica e fonolitica (spessore complessivo fino a 300 metri)
3 – basalti alcalini, trachiandesiti
4 – limitate lave nuovamente basanitiche
Nell’area ad ovest del Montiferro le lave basaltiche si sono spinte fino alla costa di Cùglieri formando così le attuali alte e scure falesie, mentre verso E-NE le lave sono andate a estendersi verso gli altopiani di Paulilatino, Abbasanta, Campeda.
Il Complesso vulcanico del Monte Arci è un esteso massiccio isolato nel margine nord-orientale del Campidano poco a SE di Oristano; è caratterizzato dalle sue tre vette corrispondenti a neck basaltici: Sa Trebina Longa (812 mt), Sa Trebina Lada (795 mt), Su Corongiu de Sizoa (463 mt); l’attività emissiva è in prevalenza di tipo fessurale con prodotti che, in controtendenza con i magmi basici ad affinità alcalina dominanti il ciclo vulcanico plio-pleistocenico, sono rappresentati in maggioranza da rioliti e daciti (magma acido e intermedio) e in minor misura da basalti e trachiti; anche per il Monte Arci sono state distinte quattro fasi caratterizzate da prodotti chimicamente e petrograficamente differenti:
1 – emissione di spesse colate laviche riolitiche
2 – emissione di colate laviche andesitiche e dacitiche
3 – emissione di colate laviche e prodotti piroclastici a composizione trachitica
4 – emissione di lave basaltiche ad affinità alcalina e subalcalina e di andesiti basaltiche.
Particolarmente significative sono le colate laviche ossidianacee, legate alla fase effusiva acida, i cui giacimenti di ossidiana rivestono parecchia importanza in quanto materia prima fondamentale per le popolazioni prenuragiche che la utilizzavano per costruire punte e attrezzi taglienti e la commercializzavano in buona parte del Mediterraneo.
Oltre ai sopra citati complessi vulcanici sono da segnalare:
– Sardegna settentrionale: nel Logudoru e in Anglona gli affioramenti delle colate laviche plio-pleistoceniche, in maggioranza prodotti della serie alcalina, sono di modeste dimensioni ma hanno comunque caratterizzato il paesaggio; le lave si sono riversate su un territorio con morfologia eterogenea, scorrendo in precedenti valli strette e lunghe colmandole oppure si sono espanse in pianori o valli più ampie; i tipici altopiani che si ergono solitari in quest’area, come il Monte Pelao (quota media 650 mt. s.l.m.) o il Monte Santo (733 mt. s.l.m.), si sono formati per erosione differenziata delle formazioni più attaccabili rispetto alle colate laviche basaltiche, più resistenti, determinando una inversione del rilievo accentuata anche dal generale sollevamento dell’Isola in tempi recenti.
– Sardegna centrale: le colate, estese ma poco spesse, dei basalti andesitici, hawaiiti e maugeriti degli altopiani noti come Giare tra le quali la più nota, oltre che la più vasta, Giara di Gesturi (celebre per la presenza dei cavallini selvatici) oltre a quelle di Nurri e Serri; ogni Giara sarebbe un apparato vulcanico a se stante, con uno o più centri di emissione dai quali sarebbe fluita l’abbondante lava, talvolta con modesta attività esplosiva, in condizioni sub-aeree a parte in località Tacchixeddu (Orroli) dove sono state individuate lave a cuscino (lava pillows) segno di emissioni sottomarine.
– Sardegna centro-orientale: l’Altopiano di Teccu (Barisardo); l’Altopiano del Golgo (Baunei) le cui lave poggiano sui calcari mesozoici come ben esposto all’interno della Voragine di Su Disterru; l’ampio distretto vulcanico di Orosei-Dorgali, le cui lave basaltiche per lo più di tipo pahoehoe (“a corda”) poggiano sul basamento metamorfico, sui granitoidi ercinici (Monte Sant’Elena) o sui calcari mesozoici (Monte Irveri, Calagonone, Cala Fuili) e si sono impilate in successione all’interno delle valli preesistenti fino a colmarle (tra le quali i paleo-corsi del Fiume Cedrino e del Rio Osalla, poi reincisi in nuovi corsi dopo il raffreddamento delle lave) e solo allora le lave successive si sono espanse sul territorio più pianeggiante formando gli attuali plateaux; nell’Altopiano del Gollei che costeggia il margine sinistro del Lago Cedrino sono visibili le particolari fessurazioni colonnari da raffreddamento che indicano un tempo di effusione particolarmente veloce (settimane o mesi).
– Sardegna centro-occidentale: affiorano le colate di Capo Frasca e il neck di Guspini nell’Arburese e Capo San Marco nel Sinis.
– Sardegna sud-orientale: nel Sarrabus, come precedentemente detto, è segnalato il primo evento del ciclo vulcanico plio-pleistocenico (6,6-6,4 Ma, nel Miocene superiore) individuato nel Monte Ferru, che con l’altezza di quasi 300 metri, e la sua tipica colorazione rossastra, domina Capo Ferrato a est, gli stagni di Colostrai a nord e la lunga spiaggia di Costa Rei a sud.
Depositi continentali e marini del Pliocene-Pleistocene
Una nuova trasgressione si attua nel Pliocene inferiore, in seguito alla regressione del Miocene finale (Messiniano), i depositi della quale giacciono in discordanza su un orizzonte erosivo al di sopra di formazioni mioceniche o paleozoiche. Con spessori di poche decine di metri, questi sedimenti ricchi di fossili affiorano limitatamente a Capo San Marco (Sinis), Capo Frasca (Arburese) e nei dintorni di Orosei. L’ambiente deposizionale è litorale e sub-litorale, alla base conglomerati più o meno caotici derivanti da rimaneggiamenti di formazioni sottostanti (fino a paleozoiche) seguiti da marne, arenarie e argille, calcareniti; al tetto, dopo una superficie erosiva, giacciono sedimenti fluvio-lacustri (Orosei), paleosuoli (Capo Frasca) o basalti plio-pleistocenei (Capo Frasca, Capo San Marco).
Al Pliocene medio-Pleistocene inferiore è datata la successione continentale conglomeratica e marnoso-arenacea, di ambiente fluvio-lacustre, nota come Formazione di Samassi; questa formazione, con spessori fino a 550 metri, affiora in maniera discontinua nel Graben (Fossa) del Campidano, una depressione tettonica fra i Golfi di Cagliari e Oristano che ha subito il maggiore sprofondamento nel Pliocene medio-superiore.
Il Quaternario, suddiviso in Pleistocene e Olocene, è l’ultimo lasso di tempo fino all’attuale.
Il Pleistocene (2,58 Ma – 11.700 anni dal presente) coincide con il Paleolitico e con l’evoluzione della specie umana nella forma attuale; è un’epoca in cui si succedono diverse glaciazioni (Günz, Mindel, Riss e la più recente Würm, 11.700 anni fa) intervallate da periodi interglaciali più miti, determinando variazioni eustatiche di grande rilievo che hanno influito anche sull’interfaccia costiera della Sardegna. I depositi del Pleistocene sono in gran parte continentali mentre quelli marini, appartenenti al Tirreniano, risultano deboli e discontinui ma ben datati paleontologicamente tanto da essere un riferimento temporale per i depositi continentali.
La formazione delle Alluvioni antiche è diffusa nel Campidano e nella Nurra e più limitatamente nelle pianure costiere del Sarrabus, Sulcis, Orosei e Siniscola, Gallura occidentale; si tratta di sedimenti fluviali di conoide e di piana alluvionale rappresentati da conglomerati, ghiaie e sabbie più o meno costipate, spesso con abbondante matrice siltoso-argillosa arrossata e dai prodotti delle loro alterazioni principalmente a causa delle acque meteoriche.
Nelle aree interne si rilevano depositi di ambiente periglaciale (glacis di accumulo e di erosione, éboulis ordonnés, depositi di versante, terrazzamenti) costituiti da materiale clastico più o meno grossolano, spigoloso e poco smussato, con abbondante matrice argilloso-ferruginosa arrossata e una stratificazione sottolineata da ripetute variazioni granulometriche dovute alle variazioni d’intensità e/o di frequenza del crioclastismo.
Alcuni tratti costieri, come la Gallaura o il basso Sulcis fra Teulada e Capo Malfatano, portano i segni dei cambiamenti morfologici del territorio dovuti alle recenti glaciazioni: le coste a rias; il ritiro del mare, con dislivello di un centinaio di metri rispetto all’attuale livello medio, durante le glaciazioni ha lasciato i territori costieri sotto l’influenza erosiva dei corsi d’acqua che hanno creato valli che sono state nuovamente invase dal mare nei periodi interglaciali come quello attuale; la costa risulta quindi molto frastagliata, con piccole spiagge incastonate fra quelle che erano un tempo le valli e una miriade di isolotti e isole più grandi sparse a breve distanza dal litorale.
Nel Sulcis-Iglesiente e nella Nurra, al di sotto della panchina tirreniana o intercalata ad essa, si ritrovano depositi di origine eolica del Riss e del Würm, ovvero dune fossili composte di arenarie rossastre con cemento calcareo, spesso a stratificazione incrociata e con presenza di fossili di chiocciole e resti di mammiferi.
Lungo la costa dell’Isola, ad un’altezza di 3-4 metri sul livello marino attuale, sono presenti i sedimenti marini e di litorale del Tirreniano (Panchina tirreniana, Pleistocene superiore), costituiti da conglomerati e arenarie a cemento calcareo e biocalcareniti, in genere contenenti una ricca associazione fossilifera di mare caldo come quello che attualmente si trova in Senegal; sopra questi depositi (Sulcis occidentale, Sarrabus, Arburese, Oristanese-Sinis) , in seguito ad una fase regressiva, poggiano sedimenti eolici (dune fossili) intercalati a paleosuoli ricchi di cervidi ed altri mammiferi del Würm.
L’Olocene è l’epoca che viviamo attualmente e copre gli ultimi 11.700 anni, dalla fine dell’ultima glaciazione Würm; in Sardegna i depositi olocenici corrispondono a: ghiaie e sabbie di ambiente alluvionale e litorale; sabbie eoliche di retrospiaggia costituenti talvolta dune sabbiose in complessi che si estendono anche chilometri nell’entroterra con altezze di decine di metri (Piscinas, Torre dei Corsari, Porto Pino); lime e argille di ambienti lagunari e stagni costieri; accumuli detritici spigolosi e più o meno grossolani ai piedi dei versanti ripidi; depositi travertinosi che si rinvengono soprattutto ai bordi dei rilievi carbonatici del Cambriano (Iglesiente e Sulcis), del Mesozoico (Tacchi del Sarcidano, Ogliastra, Barbagia ecc.) e dell’Eocene (Salto di Quirra).